sabato 18 maggio 2024

commenti randomici a letture randomiche (83)

tra i modi più inoffensivi di declinare il mio essere totalmente irresponsabile c'è la mia capacità di lanciarmi su nuove serie nonostante ne stia già seguendo in numero spropositato (a mia discolpa posso dire che alcune sono quasi alla fine!) e così negli ultimi tempi ho letto tre nuovi numeri uno che mi sono piaciuti molto e che vi consiglio (così diventate irresponsabili pure voi e mi sento meno sola e meno in colpa).

 kaiju girl caramelise 


uno shoujo manca tutto cuoricini e lucine + i kaiju (ovvero i giganteschi mostri teriomorfi della fantascienza giapponese, tipo godzilla) sembrerebbe un'accoppiata implausibile ma invece funziona!
kuroe, la protagonista di kaiju girl caramelise, oltre a essere un'adorabile studentessa del liceo in divisa da marinaretta e occhioni luccicosi, convive da sempre con una strana sindrome che la fa trasformare in kaiju ogni volta che prova delle forti emozioni.
a volte una mano che si trasforma in artiglio, altre volte delle grosse scaglie che appaiono sulla sua schiena o una coda che spunta a tradimento da sotto la gonna, il corpo di kuroe esprime i suoi sentimenti in modo tanto sincero quanto bizzarro.
ovviamente, nel corso degli anni kuroe si è trovata più e più volte a essere additata come mostro dallə amicə e compagnə di classe, ragion per cui cerca di passare più tempo possibile da sola e di non dare troppo nell'occhio per tenere al sicuro il suo segreto.
un piano ineccepibile nella sua semplicità, non fosse che arata, il classico compagno di classe bello, dolce e gentile che piace a tutte, decide di diventare suo amico, scatenando inevitabilmente un turbinio di emozioni che farà trasformare kuroe, per la prima volta, in un gigantesco kaiju, scatenando il panico in tutta la città.
ora, se questo fosse uno shoujo un po' più standard, kuroe dovrebbe riuscire a conquistare il cuore di arata nonostante la sua strana condizione di ragazza-kaiju e magari dover affrontare una rivale carinissima... ma qui tutto è abbastanza assurdo che, invece della rivale in amore, c'è una carinissima ragazza di nome manatsu che ha una passione smodata - e anche abbastanza cringe - per i kaiju, convinta che kuroe sia una sorta di miko del lucertolone...
insomma, c'è un po' tutto l'immaginario rosa e mieloso da shoujo scolastico rimescolato insieme a un po' di fantascienza e di commedia umoristica.
un ottimo primo volume che fa venire voglia di continuare la lettura, assolutamente promosso! grazie mille ad angela e a silvia per avermelo consigliato!

 tales of reincarnation in maydare 


prendi una mattina qualsiasi, in una scuola qualsiasi. prendi una ragazza di nome kazuha, una protagonista qualsiasi da shoujo manga; airi, la sua migliore amica e tooru, il ragazzo che piace a entrambe. prendi la scena di una dichiarazione sul terrazzo della scuola. sembra l'inizio di una delle millemila commedie scolastiche che hai già letto centinaia di volte. però, dopo appena qualche pagina, ti ritrovi ad assistere al brutale assassinio di tuttə e tre lə personaggə. dunque, la storia è finita?
no, perché subito dopo ti ritrovi in un mondo fantastico, a maydare, terra di magia e incanto dove streghe e maghi controllano la realtà e il loro potere domina ogni cosa. makia, la protagonista, ha esattamente lo stesso aspetto della ragazza che avevi visto correre sul tetto verso la morte qualche pagina prima, e così thor, un ex schiavo capace di usare la magia, somiglia in tutto e per tutto al ragazzo di cui lei era innamorata.
la loro storia, nonostante l'ambientazione sia stata stravolta, sembra essere legata indissolubilmente a quella di kazuha e tooru e a quella di un'antica strega leggendaria che un tempo governava con crudeltà maydare...
questo primo volumetto di tales of reincarination in maydare è fortemente introduttivo, ci presenta lə personaggə e il loro mondo, a volte in modo troppo didascalico, eppure l'idea di questi piani di esistenza collegati è parecchio interessante e sono davvero curiosa di andare avanti con la lettura!

 jinbocho sisters 


fantascienza, fantasy e adesso un bello slice of life ambientato nel quartiere delle librerie di tokyo e disegnato (e scritto) niente poco di meno che da kei toume (grazie al cielo, almeno per questa volta scampata dalle grinfie di rw) jinbocho sisters è uno di quei fumetti di cui basta la copertina a convincermi.
potremmo dire che è semplicemente la storia di tre sorelle - ichika, tsugumi e minoru karakida - che si ritrovano a ereditare una vecchia libreria di libri usati e che decidono di proseguire l'attività di famiglia, portando avanti la loro vita quotidiana. ma gli slice of life non sono mai semplicemente qualcosa: ogni volta si tratta di entrare nelle vite dellə personaggə, scoprire un po' alla volta il loro passato, i loro sogni, le relazioni che lə legano, seguire il corso degli eventi in cui ogni piccola azione ha il suo enorme significato.
l'inizio forse si dilunga in qualche spiegone di troppo ma a kei toume posso perdonare ogni cosa, soprattutto perché quella tranquilla vecchia libreria - una piccola, affollatissima libreria piena di testi antichi, più o meno rari, praticamente il sogno di ogni appassionatə lettorə! - di famiglia sembra nascondere qualcosa di prezioso, qualcosa su cui il bel vicino di casa delle tre sorelle sembra aver messo gli occhi...
anche questo ve lo straconsiglio

giovedì 16 maggio 2024

salone del libro 2024 ~ un resoconto parziale di giorni devastanti e bellissimi

ammetto di non essere affatto brava a fare questa cosa dei resoconti delle fiere, quindi perdonatemi se questo post sarà un po' sconclusionato.

però due righe voglio scriverle comunque, anche per festeggiare il fatto che questo è stato il mio primo salone con un pass "stampa" al collo, un cartellino che ho vissuto un po' come un riconoscimento del valore di questo spazietto qui, uno spazio che esiste da quasi tredici anni, che resiste ai video, ai reel, alle storie, a tutta quella comunicazione velocissima e che, invece, si prende tutto il tempo che gli va. quel pass "stampa" per me è stato bello tanto quando quello da autrice che avevo l'anno scorso, per il mio primo salone, che mi ha regalato un sacco di bellissimi momenti e incontri con persone che danno un senso a questi spazi online che attraversiamo e abitiamo nonostante, spesso, siano così inospitali.


il resoconto ufficiale del salone dice che ci sono state 222.000 presenze quest'anno, presentazioni mega affollate, record di ogni tipo. ma a parte i numeri e le statistiche è proprio vero che la cosa più bella del salone sono le persone che ci incontri, migliaia di persone che non conosci ma con cui sai di condividere idee e passioni, persone che ti fanno sentire parte di qualcosa, un qualcosa forse un po' troppo indefinito ma comunque reale.

tra quelle migliaia di persone ci sono poi quelle speciali, le facce amiche che incontri alle fiere e che sono il vero motivo per cui vale la pena prenotare un biglietto d'aereo due mesi prima e viaggiare fino all'altra parte d'italia per rivederle. per me, sono soprattutto le persone che ruotano attorno a quella che l'anno scorso è stata ribattezzata la eris-family, ovviamente, e quelle per cui non ho ancora abbandonato i social. passo quasi tutto l'anno sentendole solo in chat, sbirciando tra le loro foto e video, quando poi arriva il momento in cui ci si può riabbracciare e andare in giro insieme tra stand strapieni di libri, o incontrare dal vivo per la prima volta, superare la timidezza, rompere il ghiaccio e sorridersi senza mediazione di uno schermo è sempre una gioia immensa.


ho partecipato a pochissimi incontri in questi giorni (quello che mi è dispiaciuto di più perdermi è stato quello di ne/on, tra le nuove realtà editoriali quella che mi interessa di più, non vedo l'ora di leggere i primi libri), non ero sicura di cosa scegliere in un programma strapieno di eventi interessanti e volevo soprattutto godermi l'aria di festa, ma sono stata a due presentazioni che mi sono piaciute moltissimo. la prima è stata quella dedicata a stasera faremo cadere il cielo, in cui lə autorə hanno discusso del valore aggiunto che le prospettive queer hanno saputo dare a un genere, quello fantascientifico e fantastico in generale, che era stato per decenni il luogo per antonomasia non soltanto degli autori maschi bianchi etero cis ma anche di escapismo ed evasione. il fantastico, negli ultimi tempi, spiegavano lə relatorə, è stato lo strumento attraverso il quale non soltanto raccontare il reale ma provare a decostruirlo e immaginare modi differenti di vivere e di relazionarsi tra noi animali umani, con le altre creature e con l'ambiente. le autrici e lə autorə queer e non bianchə hanno saputo usare la letteratura come qualcosa di molto più potente di ciò che un certo pubblico si aspettava da loro, ne hanno fatto uno spazio di riflessione e di costruzione di realtà e di relazioni. ed è per questo che immaginare mondi diversi non è fuga dalla realtà ma realizzazione di alternative possibili.


il secondo, meraviglioso incontro, è stato quello con i conigli bianchi e prep italia, che hanno presentato sierocoinvoltə, uno degli ultimi bookblock di eris che fa luce su un argomento - hiv e aids - che negli ultimi decenni sembrava essere scomparso dalla zona di interesse dell'opinione pubblica, dopo le campagne di terrore degli anni '80 e '90. lə autorə hanno parlato dello stato attuale della prevenzione e della cura di quella che non è più la malattia terrificante che è stata qualche decennio fa. ma soprattutto hanno posto l'attenzione sul mondo relazionale delle persone che vivono con hiv, un mondo molto più vasto di quello che i pregiudizi e la scarsa informazione ci lascerebbero immaginare.
ma, soprattutto, mentre si parlava di sierocoinvoltə, lə autorə hanno lanciato più volte messaggi di supporto alla causa palestinese e non sono statə lə solə.


sabato è stato il giorno in cui alcuni spazi del salone hanno fatto eco alle proteste, vergognosamente silenziate e represse, pro-palestina ai cancelli. se pure non ci sono stati momenti istituzionali dedicati a focalizzare l'attenzione sul genocidio in corso, se pure di facciata si preferisce fingere che la cultura non abbia niente a che vedere con la politica - falso! - dal basso si è sentito che nessunə di noi ha dimenticato la questione di palestinese pure in un momento così festoso e - passatemi il termine, lo uso in senso positivo - leggero. dagli stand chiusi al più semplice "hai visto le notizie di oggi?", passando per magliette, spillette, disegni, slogan eccetera, moltissime persone hanno portato anche solo una piccola goccia d'attenzione verso l'orrore che non accettiamo e non perdoniamo.
perché il salone, come ogni altro spazio pubblico, è di chi lo attraversa, di chi lo anima, non solo di chi organizza o sponsorizza o parla da un palco. e questa cosa è stata una tra le più potenti, belle e significative di quest'anno.


e poi, vabbè, ho comprato un botto di libri bellissimi di cui non vedo l'ora di parlarvi!
ci si rivede qui a breve!

mercoledì 8 maggio 2024

donne che parlano

la libertà è una buona cosa, dice. meglio della schiavitù. e il perdono è una buona cosa, meglio della vendetta. e la speranza nell'ignoto è una buona cosa, meglio dell'odio per quel che conosciamo.
mariche resta stranamente calma. sincera e senza sarcasmo chiede a ona, ma e la tranquillità, la sicurezza, la casa e la famiglia? e la sacralità del matrimonio, dell'obbedienza, dell'amore?
non so niente di queste cose, di nessuna di queste cose, dice ona. se non l'amore. e anche l'amore, dice, per me è un mistero.

TW: stupro.

copertina di "donne che parlano" di miriam toews. su uno sfondo scuro si vedono le sagome di due ragazze, ritratte di spalle, che si abbracciano. i loro capelli - rossi e biondi - sono legati in un'unica treccia.

sono i primi giorni di giugno del 2009, siamo nella colonia mennonita di molotschna e otto donne, insieme a un uomo di nome august epp, si sono riunite in un fienile. hanno poco tempo per prendere una decisione importantissima e questa è una cosa che non hanno mai fatto. hanno sempre obbedito ai loro padri, ai loro mariti, ai loro fratelli, persino ai loro figli e, ovviamente, al loro pastore, ma non hanno mai deciso per loro stesse.
adesso, però, devono scegliere cosa fare per rispondere alla violenza feroce che hanno subito.
per settimane si sono svegliate doloranti e sanguinanti, coperte di lividi. alcune di loro sono rimaste incinte, hanno contratto malattie sessualmente trasmissibili. tra queste, alcune sono bambine, la più piccola ha solo tre anni. il pastore e gli uomini della colonia le hanno accusate di aver attirato satana per colpa dei loro peccati, hanno svilito il loro dolore dicendo che non cercavano che attenzioni o che volevano giustificare relazioni illecite. in realtà, erano proprio quegli uomini - mariti, fratelli, padri - che, con la complicità dell'intera colonia, ogni notte le narcotizzavano con un anestetico per animali e le violentavano.
gli uomini sono stati arrestati ma le loro cauzioni sono state pagate e ora stanno per tornare. alle donne è rimasto pochissimo tempo per decidere cosa fare: restare e, come chiede peters, il loro pastore, perdonarli? restare e, invece, rispondere alla violenza con altra violenza? oppure andare via, abbandonare la colonia e andare verso un mondo che non conoscono, libere di vivere sicure e senza doversi vendicare?

le donne di molotschna, proprio come prescritto dalle norme che regolano la colonia, non sono soltanto completamente subordinate agli uomini. non sanno leggere né scrivere e così, per redigere i verbali di questi incontri fondamentali per il loro futuro, chiamano august epp, un uomo gentile e mal visto dal resto della comunità, accusato di non essere abbastanza uomo, di non saperci fare né con le bestie né con le donne. epp ha vissuto fuori da molotschna per qualche anno a seguito della scomunica dei suoi genitori, ha conosciuto un po' di mondo, nel bene e nel male, e se è tornato alla colonia è solo per amore di ona, una delle vittime degli stupri. è lei che gli chiede di redigere i verbali, che gli dà un ruolo tanto importante, forse per la prima volta nella sua vita. sembra inutile scrivere per delle donne che non sanno leggere ma il compito di epp è prezioso per la sua stessa salvezza oltre che per il futuro di molotschna. ed è un compito prezioso per noi lettorə perché donne che parlano è proprio quei verbali, tradotti in inglese e incorniciati dalle considerazioni e dal racconto di august epp.

le donne - anziane e giovani, madri e sorelle - parlano e parlano, non per piangere sulle proprie ferite ma per riflettere sulle azioni che possono compiere nel rispetto della loro fede e della loro sicurezza. queste donne incolte, fuori dal mondo, che non hanno mai visto il mare e non parlano neppure la lingua del paese in cui vivono, che conoscono solo la legge di dio così come il loro pastore gliel'ha insegnata, donne il cui pensiero, la cui opinione non hanno mai contato nulla, che sono sempre state usate come fattrici fino alla sfinimento da uomini che le considerano meno delle loro bestie, parlano e parlano e parlano. e le loro parole svelano animi affatto semplici e rozzi, anzi! discutono di cosa dio si aspetta da loro, basandosi sulla legge d'amore e di perdono su cui si fonda la loro fede, discutono di cosa gli uomini si aspettano da loro, rifacendosi al solo modo che conoscono di stare al mondo. discutono di obbedienza, di autorità, di dovere e di inganno, discutono del loro futuro e del futuro delle loro figlie, possibili vittime, e dei loro figli, possibili carnefici.
il tempo guarirà i nostri cuori afflitti, dice. la nostra libertà e la nostra sicurezza sono obiettivi fondamentali, e sono gli uomini che ci impediscono di raggiungerli.
non tutti gli uomini, però, dice mejal.
ona puntualizza: forse non gli uomini in sé, ma una perniciosa ideologia che ha potuto impadronirsi del loro cuore e della loro mente.
e se dietro le loro parole non ci sono studi, non ci sono basi teoriche né ideologiche a cui aggrapparsi, allora le donne di molotschna ci dimostrano che il bisogno di giustizia, di libertà e di rispetto sono qualcosa di innato, qualcosa che non si può solo apprendere astrattamente ma che si impara a desiderare quando ne soffriamo la mancanza. le loro parole ci illustrano cosa vuol dire davvero fare politica dal basso, senza sofismi inutili, solo ragionando sullo stato delle cose in cui viviamo e cercando insieme il modo di migliorarle.
è proprio per la spontaneità delle loro idee, per la genuina necessità che spinge quei ragionamenti a formularsi forse per la prima volta, che le donne che parlano sanno dirci così tanto, sanno mostrarci quello che le ore e ore di corsi e lezioni e dibattiti e assemblee forse non riescono a dirci davvero. che è difficile trovare una risposta e che è doloroso riconoscere qual è la soluzione migliore a un problema, che non sempre i pensieri seguono - o possono seguire - una sola direttiva perché siamo creature multiformi, complesse e sfaccettate, con le nostre storie, i nostri legami, la nostra fede, le nostre abitudini. e che però, nonostante tutto, trovare la via giusta, la soluzione ai problemi, è possibile e in qualche misura inevitabile e che, altrettanto inevitabilmente, non esiste vittoria senza perdita.

miriam toews fa raccontare alle sue donne che parlano la comunità mennonita tanto bene perché lei stessa ne ha fatto parte. non drammatizza né romanticizza il male di questo sistema patriarcale stretto e claustrofobico, solleva le protagoniste dal ruolo di vittime passive, dà loro voce, una pluralità di voci che illustrano la complessità di un sistema di pensiero che a una prima, superficiale occhiata, potrebbe sembrare semplice se non addirittura primitivo. queste donne che parlano non si arrogano mai il diritto di prendere parola per conto di tutte le donne, non immaginano assoluti né universalismi eppure sanno raccontare emozioni e desideri assoluti e universali, riprendono inconsapevolmente le voci di milioni di donne che si sono ribellate e continuano a farlo ogni giorno contro i sistemi oppressivi in cui vivono.
siamo donne senza voce, afferma ona, pacata. siamo donne fuori dal tempo e dallo spazio, non parliamo nemmeno la lingua del paese in cui viviamo. siamo mennonite senza una patria. non abbiamo niente a cui tornare, a molotschna perfino le bestie sono più tutelate di noi. tutto quello che abbiamo sono i nostri sogni - per forza che siamo sognatrici.
donne che parlano è un libro doloroso e terrificante, pieno di una rabbia che non sempre sa prendere forma né esprimersi a parole, eppure è, a suo modo, un libro luminoso e carico di speranza. perché fino a quando ci saranno delle donne a decidere di riunirsi e parlare insieme, a scegliere per il loro futuro, a comprendere i propri desideri e a sognare una vita migliore, allora quel modo migliore di vivere sarà un centimetro più vicino al nostro presente.

se ti piacciono i post di questo blog puoi sostenermi su ko-fi ♥

giovedì 25 aprile 2024

partigiane

la legge morale mi ha spinto a combattere contro un nemico che usa la violenza per distruggere l'avversario politico, che usa l'oppressione per annullare sogni e speranze, che sta mortificando e mandando in rovina un paese e le sue generazioni più giovani, in nome di una mania di grandezza che è solo la scusa dietro la quale si nascondono persone orribili che pensano solo ad assecondare il loro desiderio di potere personale.

sta finendo un altro 25 aprile, uno particolarmente significativo, visto quello che è successo oggi tra le strade del nostro paese e nelle istituzioni. delle seconde non mi interessa parlare perché è inutile commentare il livello di antifascismo di chi fascista è per storia e vocazione. ma è grave, gravissimo, che in un giorno come questo si arrivino a compiere azioni violente, come è successo a roma dove la brigata ebraica ha lanciato pietre e bombe carte sul corteo pro-palestina, per supportare ancora l'orrore che lo stato israeliano, uno dei peggiori regimi fascisti attualmente in vita, sta mettendo in atto da mesi ai danni del popolo palestinese con l'appoggio delle istituzioni - ma non dei popoli - di mezzo occidente. ed è grave, gravissimo che già al tg della sera la notizia non fosse passata, criminalizzando le proteste di milano, dove allə attivistə pro-palestina è stato negato il diritto di parola.

sono giorni in cui si parla di censura, di diritto di asilo e di aborto negato, giorni in cui esce un report di amnesty international che racconta un'italia che tortura i detenuti, sminuisce e arresta chi fa attivismo per il clima, un'italia in cui le donne vengono uccise perché donne, un'italia che continua a vendere armi a paesi che fanno la guerra, infischiandosene della costituzione. e insieme a questa italia c'è buona parte di quel mondo che ama dirsi democratico e progredito, ci sono l'america e l'europa, che si fregiano di meriti che ormai sono decisamente in dubbio.

mi sembrava giusto dedicare questa giornata alle storie di chi, settantanove anni fa, ha combattuto il fascismo e il nazismo, alle storie che, tutte insieme, fanno la resistenza, la storia più bella del nostro paese e della nostra memoria, quella resistenza che ormai le istituzioni ridicolizzano svuotandola di significato, passando da una celebrazione della liberazione passata alla glorificazione dell'oppressione presente, senza soluzione di continuità.

partigiane è un libretto piccolo, veloce, semplice, adatto anche a un pubblico di giovanissimə. dentro ci sono le storie di alcune delle migliaia di donne che hanno contribuito alla liberazione dal nazifascismo: ursula hirchmann, ada rossi, carla capponi, ada gobetti, lidia menapace, teresa mattei, renata viganò, nilde iotti, marisa ombra e miriam mafai. donne che hanno vissuto la lotta di resistenza contro il fascismo e contro un mondo che le voleva silenziose e sottomesse, eterne subalterne, donne che poi quella storia l'hanno scritta e raccontata perché il suo ricordo non andasse perduto. donne comuni che hanno fatto qualcosa di straordinario: hanno gettato le basi per un mondo nuovo, una nuova realtà più giusta, più egualitaria, in cui le donne avrebbero avuto un ruolo finalmente attivo e partecipe della vita politica e sociale.
per una donna era più semplice superare i controlli, i fascisti ci misero un po' a capire quello di cui eravamo capaci, non si aspettavano tanto coraggio e intraprendenza, era ben altra l'idea che avevano di noi donne.
sono storie che riportano tutto alla sua vera dimensione: il fascismo non era solo un ideale, era la violenza, le uccisioni, i pestaggi, la fame, la miseria di ogni giorno e, allo stesso modo, neanche la resistenza era solo un ideale, era fatta di persone vere, di storie vere, di vera volontà di stravolgere quel potere che stava avvelenando e distruggendo le vite di un intero popolo, di vero desiderio di creare un mondo nuovo, più giusto e plurale.

oggi credo che sia un dovere non solo ricordare la resistenza partigiana italiana ma anche quella palestinese. le vicende familiari che ci raccontano la fine del fascismo richiamano quelle che osserviamo oggi dagli schermi dei nostri telefoni: madri, padri, fratelli e sorelle, bambine e bambini che subiscono l'orrore e provano a fuggire alla morte e a reagire all'oppressione.
credo che ogni giorno, e oggi ancor di più, chi sta lottando contro il genocidio sionista meriti di essere celebratə.
costruire la pace in ogni modo è la maniera migliore di "ripudiare" (un verbo molto forte) la guerra. il diritto internazionale riconosce ad ogni popolo invaso di difendersi come può e perciò anche con partigiane e partigiani. il che invece hitler non riconobbe mai a noi e ci chiamò "banditi".
alle partigiane e ai partigiani che in palestina, in italia e ovunque nel mondo hanno combattuto e combattono l'oppressione, la violenza, la volontà distruttiva del fascismo, nonostante le narrazioni distorte, nonostante la censura, nonostante lo strapotere che si oppone loro con ogni mezzo: viva la resistenza!


martedì 23 aprile 2024

un salmo per il robot

"attualmente nessuno al mondo sa dove mi trovo" pensò, e quell'idea lo colpì di gorgogliante eccitazione. aveva cancellato la sua vita, abbandonato tutto sulla spinta di un capriccio. la persona che sapeva di essere avrebbe dovuto essere scossa da questo, ma adesso era qualcun altro a reggere il timore, un qualcuno ribelle e spericolato che aveva scelto una direzione e l'aveva imboccata come se fosse stata una cosa che non aveva più peso dello scegliere un panino. in quel momento, non sapeva chi era, e forse era per questo che stava sorridendo.

copertina de "un salmo per il robot" di becky chamber, nell'edizione urania

nel tempo, ho imparato a credere che i libri arrivano quasi sempre quando hai bisogno di leggerli. anche se magari aspettano su uno scaffale da mesi o da anni, in qualche modo misterioso riescono a farsi scegliere proprio nel momento più adatto.
anche con un salmo per il robot è successo così.
sono giorni - settimane, forse - che mi sento stanca, scontenta, ansiosa, incapace di concentrarmi, perennemente assonnata e più o meno giù di morale. non sopporto quasi nulla di quello che trovo online e, quando sto così, non ho voglia di scrivere e di pubblicare niente. ho lasciato un po' languire il blog e mi sono dedicata a leggere solo quello che avevo davvero voglia di leggere, senza pensare a calendari e scadenze (che, oltretutto, questa cosa qui non è un lavoro e non ho voglia di viverla come un lavoro). e, in questo scenario grigiastro e noioso, la storia di sibling dex è arrivata come una fetta di torta inaspettata. una cosa piccola e semplice che però mi ha regalato un momento di buon umore.

iniziamo subito con una nota: la traduzione italiana lascia un po' a desiderare. soprattutto, non capisco perché i nomi dellə personaggə sono stati tradotti - nonostante in quarta di copertina siano rimasti come in originale - senza aver cura di un aspetto importante della loro caratterizzazione, ovvero senza tenere in conto che sia sibling dex che mosscap non hanno un genere definito (sibling è diventato fratello, ad esempio. ma l'errore più stupido e grossolano è stato tradurre pangan - lə abitanti di panga - con pagani. è una roba così insensata che non c'è da perdere altro tempo a discuterne.
a voler andare più per il sottile, anche la traduzione del titolo è un po' grossolana: la parola robot è stata scelta per rendere wild-built, togliendo un'importante sfumatura di significato che caratterizza l'essenza stessa di mosscap.
è indubbiamente una roba fastidiosissima ma non credo proprio valga la pena perdersi un racconto così bello solo per questo, quindi, nonostante tutto, vi consiglierei di recuperarlo.

la trama è abbastanza semplice e lineare: lə giovane monacə sibling dex sente che la sua vocazione sta cambiando. è stancə di vivere sempre nello stesso posto, per quanto la città, il centro abitato di panga, sia così bella, un posto sano, fiorente, una continua armonia di creazione, di azione, di crescita, di tentativi, di risa, di corse, di vita. panga è un mondo - anzi, per l'esattezza è una luna, un satellite che ruota attorno a un pianeta (il nostro?) - in cui l'umanità ha drasticamente cambiato il suo stile di vita quando si è resa conto di essere diventata insostenibile per l'ecosistema tutto. finita l'era delle fabbriche, gli esseri umani hanno deciso di occupare solo metà del pianeta, lasciando tutto il resto alle altre creature:
il cinquanta per cento dell'unico continente di panga era stato destinato all'uso umano, il resto era stato lasciato alla natura e l'oceano non era quasi stato toccato. a pensarci bene, era una divisione folle: metà della terra per una sola specie e metà per le centinaia di migliaia di altre, ma del resto gli umani avevano un talento per distruggere l'equilibrio delle cose, e trovare un limite a cui attenersi era già una vittoria sufficiente.
compreso quanto invasiva e pericolosa fosse la loro specie, gli esseri umani avevano rinunciato a quella che conosciamo come l'unica possibilità, a quello che chiamiamo il migliore dei mondi possibili: l'idea folle di una continua crescita, di un progresso tendente all'infinito, la necessità di accumulare ricchezze e quindi di produrre e consumare merci su merci, sempre più effimere, sempre più veloci nel trasformarsi in rifiuti e nel distruggere il mondo in cui viviamo. in questo scenario, i robot avevano sviluppato una coscienza, avevano scelto di smettere di lavorare per gli esseri umani e si erano allontanati nelle terre lasciate alla natura.

sibling dex, dunque, decide di diventare un monacə del tè, cioè di viaggiare per panga fermandosi di villaggio in villaggio offrendo a chiunque ne avesse bisogno una tazza di tè e un momento di ascolto sincero. sì, perché perfino in quello che sembra quasi un paradiso utopico come panga c'è bisogno di staccare la spina ogni tanto e di prendersi del tempo solo per sé stessə. dex sembra essere diventatə bravissimə nel suo nuovo compito, eppure quel desiderio che lo aveva spinto all'inizio continua a ronzargli in testa...
"scommetto che è piacevole addormentarsi ascoltando i grilli"
ma esistono ancora i grilli? gli errori che l'umanità ha compiuto nel passato, portando la propria e le altre specie quasi sull'orlo della distruzione, hanno risparmiato queste creature? senza una vera e propria risposta, dex si mette di nuovo in discussione e riprende il suo viaggio.
e questa volta decide di inoltrarsi nella metà non antropizzata di panga, alla ricerca di un vecchio santuario in cui forse, potrà ascoltare il canto dei grilli dal vivo e magari trovare una risposta a quel senso di insoddisfazione che non lə da mai tregua. e qui, nelle terre selvagge, dex incontra lə più improbabile dellə compagnə di viaggio, un robot, o meglio un wild-buit (cioè un robot costruito senza l'intervento umano) di nome mosscap che vuole tornare tra gli esseri umani - dopo decenni in cui le due specie si sono allontanate - per scoprire di cosa hanno bisogno nella loro vita.

l'incontro - un momento di portata storica per tutto panga - è un po' buffo e impacciato ma, in qualche modo, dex e mosscap decidono di continuare il loro viaggio insieme. e qui, nella bellezza della natura selvaggia che si riappropria di sé stessa e dei suoi spazi, tra la strana coppia nasce una bellissima, lunga serie di dialoghi e riflessioni sull'essere al mondo, sulla propria natura - umana o robotica - e sul rapporto con le altre forme di vita, sui propri desideri e bisogni, sui ricordi e sulle prospettive future, sulla consapevolezza, sul senso e sullo scopo della propria stessa esistenza.
per chiunque sia nato e cresciuto nell'infrastruttura umana è difficile assimilare davvero il fatto che la sua visione del mondo in realtà è a rovescio. anche se sa bene di vivere in un mondo naturale che esisteva prima di lui e che continuerà a esistere molto dopo. pur essendo consapevole che lo stato selvaggio è la condizione predefinita delle cose e che la natura non è qualcosa che si verifica soltanto nelle enclave accuratamente curate fra le cittadine, qualcosa che appare negli spazi aperti se li si ignora per un po', anche se passi tutta la vita convinto di essere profondamente in contatto con gli alti e bassi, con il ciclo, con l'ecosistema com'è in realtà, avrai comunque difficoltà a visualizzare un mondo intatto. faticherai ancora a capire che i costrutti umani sono qualcosa di scavato e sovrapposto, che questi sono i posti che si trovano in mezzo, e non il contrario.
posso dire tranquillamente che questo sia uno dei libri più belli che abbia letto ultimamente. ne ho sottolineato pagine intere, ho adorato i personaggi, ho amato il mondo in cui si muovono e ho provato a immaginarlo, per quanto difficile possa essere. ma oltre all'aspetto più poetico - passatemi il termine - c'è quello che potrei definire più politico: un mondo che si è salvato grazie a una rivoluzione di stampo ecologico e spirituale in cui capitalismo e consumismo non esistono più, neppure come lontani ricordi.

un salmo per il robot (a psalm for the wild-built) fa parte di una serie in due volumi di cui in italia non è ancora stata pubblicata la seconda parte (a prayer for the crown-shy), in cui continua il viaggio di sibling dex e mosscap.
spero sinceramente che mondadori decida di pubblicare un volume con entrambe le novelle, ritraducendo anche questa prima parte della storia ma, eventualmente, mi andrebbe benissimo anche un secondo volume nell'edizione urania. insomma, qualsiasi cosa purché possa continuare il viaggio di sibling dex e mosscap.